22/5/2020

Carenza di vitamina D possibile fattore di rischio per l'aggravamento di Covid-19?


Il ministero della salute ha inserito nella lista delle false informazioni più frequenti circolanti durante la pandemia, un riferimento alla vitamina D (n. 40), precisando non ci sono evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus. Ma ultimamente qualcosa sembra cambiare. Molti studi attualmente si occupano della probabile associazione tra carenza di vitamina D e possibili maggiori rischi di mortalità per Covid-19.

L'ISS, sulla base di un recente studio, asserisce che il mantenimento dei normali livelli plasmatici di vitamina D non solo può giocare un ruolo nel ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19, quali l'anosmia e l'ageusia, ossia rispettivamente la perdita dell'olfatto e del gusto lamentati da più pazienti.
Cosa trovi nell'approfondimento:



Vitamina D: che cos'è, come si assume e a cosa serve

Riprendendo la definizione data dall’ISS, per vitamina D s’intende un gruppo di pro-ormoni steroidei liposolubili di cui la vitamina D2 o ergocalciferolo, di provenienza vegetale, e la vitamina D3 o colecalciferolo, sintetizzata negli organismi animali a partire dal colesterolo, rappresentano le due forme più importanti.
La vitamina D derivata dall'esposizione solare o dalla dieta è in una forma biologicamente non attiva e deve subire due reazioni chimiche per essere trasformata nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo [1,25-(OH)2-D]

Quali fattori incidono sulla carenza di vitamina D?
  • Vivere in luoghi dove è carente la luce del sole.
  • La gravidanza e l’allattamento.
  • L’obesità.
  • L’età avanzata.
  • La pelle scura.
  • Passare molto tempo al chiuso o utilizzare un abbigliamento molto coprente.
La fonte principale di vitamina D è l'esposizione alla radiazione solare UVB (80-90%). La dieta fornisce circa il 10-20% del fabbisogno.
Gli alimenti più ricchi di vitamina D sono l'olio di fegato di merluzzo, i pesci grassi (aringa e salmone), i funghi, le uova e il fegato.

La sua funzione principale è quella di favorire il riassorbimento di calcio a livello renale, l'assorbimento intestinale di fosforo e calcio ed i processi di mineralizzazione dell'osso. La vitamina D svolge anche numerose funzioni extra-scheletriche, influenzando così vari processi fisiologici 

Il fabbisogno giornaliero di vitamina D varia in funzione del sesso e dell’età ed è maggiore nei bambini nel primo anno di vita, nelle donne in gravidanza, durante l’allattamento e negli anziani.
Lo stato della vitamina D si valuta misurando i livelli del metabolita epatico 25-(OH)-D nel sangue ed esprimendo la sua concentrazione in nanogrammi per millilitro (ng/ml).
vitaminaD carenza normalita tossicitaCome ci fanno notare AME (Associazione Italiana dei medici endocrinologi) e di AACE (Italian Chapter of the American Association of Clinical Endocrinologists) allo stato attuale, non vi è alcun accordo su "livelli normali" di 25 (OH) D.
Nel corso degli anni, il cut-off è stato progressivamente aumentato da 12 a 20 e, infine, a 30 ng / mL (rispettivamente 30, 50, 75 nmol / L), principalmente a causa della confusione del normale con i livelli desiderabili. I livelli normali sono definiti come quelli compresi tra ± 2 deviazione standard (DS) dai valori medi nella popolazione normale, mentre i livelli desiderabili sono stabiliti dalle agenzie per la prevenzione delle malattie sulla base di studi osservazionali.

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Quante sono le persone carenti di vitamina D?

In generale, non esiste uno screening mirato a determinare i livelli di vitamina D nella popolazione generale. I dati sono spesso ripresi da studi condotti solo su specifici gruppi di popolazione e, in molti casi, non coincidono.

Una revisione sistematica (Is vitamin D deficiency a major global public health problem?) del 2014 fornisce una panoramica dei dati disponibili, pur dichiarando che vi sono lacune per molti paesi.

Nel 2018 è stata delineata la situazione in Europa (Current vitamin D status in European and Middle East countries and strategies to prevent vitamin D deficiency: a position statement of the European Calcified Tissue Society)
Dai dati emerge che: la carenza di vitamina D (siero 25-idrossivitamina D (25 (OH) D) <50 nmol / L o 20 ng / mL) è comune in Europa e Medio Oriente. Si verifica in <20% della popolazione nel Nord Europa, nel 30–60% in Occidente, Sud e Est Europa e fino all'80% nei paesi del Medio Oriente. Una grave carenza (siero 25 (OH) D <30 nmol / L o 12 ng / mL) si trova in >10% degli europei.

Un recente studio (Vitamin D deficiency 2.0: an update on the current status worldwide) riporta che circa il 40% degli europei è carente di vitamina D e il 13% è gravemente carente, rifacendosi però ad una pubblicazione del 2016: Vitamin D deficiency in Europe: pandemic?

Per l’Italia i dati che vengono commentati nelle pubblicazioni, comprese quelle che qui evidenziamo, derivano da studi non recentissimi.
AME e AACE (Italian Association of Clinical Endocrinologists (AME) and Italian Chapter of the American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) Position Statement: Clinical Management of Vitamin D Deficiency in Adults) forniscono una dettagliata lista degli studi svolti in Italia (citando anche InChianti study) e dei loro risultati econfermano una prevalenza inequivocabilmente elevata di carenza di vitamina D negli anziani, in particolare in alcuni sottogruppi a maggior rischio.

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Carenza di vitamina D: le infezioni sono tra le patologie correlate?

Nella sua forma attivata, la vitamina agisce in realtà come un ormone che regola vari organi e sistemi e ha un’azione modulante nei confronti dell’infiammazione e del sistema immunitario. Il legame tra vitamina D e sviluppo di patologie è stato ampiamente studiato, anche se con evidenze talvolta contrastanti rispetto alle ipotesi più comuni.

Se ricerchiamo in PubMed solo per le revisioni sistematiche della Cochrane il risultato è di circa 100 documenti, alcuni dei quali redatti come aggiornamento di precedenti.

Lo studio (Vitamin D deficiency 2.0: an update on the current status worldwide) prima citato, cerca anche di focalizzare i punti salienti emersi nel dibattito, facendo riferimenti specifici alle infezioni. Riprendendo dall’abstract: attualmente, il ruolo dell’assunzione integrativa di vitamina D, nonché la dose e lo stato ottimali di vitamina D, sono oggetto di dibattito, poiché ampi studi interventistici non sono stati in grado di mostrare un chiaro beneficio. Ciò può essere attribuito a limiti nella progettazione della sperimentazione, poiché la maggior parte degli studi non ha soddisfatto i requisiti di base di uno studio di intervento sui nutrienti, i campioni di popolazione sono di dimensioni troppo ridotte e i metodi di intervento incoerenti riguardanti dose e metaboliti.

La carenza di vitamina D (siero 25-idrossivitamina D [25 (OH) D] <50 nmol / L o 20 ng / ml) è associata a esiti scheletrici sfavorevoli, tra cui fratture e perdita ossea. Un livello di 25 (OH) D> 50 nmol / L o 20 ng / ml è, quindi, l'obiettivo primario del trattamento, sebbene alcuni dati suggeriscano un beneficio per una soglia più elevata. Una grave carenza di vitamina D con una concentrazione di 25 (OH) D inferiore a <30 nmol / L (o 12 ng / ml) aumenta notevolmente il rischio di mortalità in eccesso, infezioni e molte altre malattie.

I dati di un beneficio dell’integrazione di vitamina D rispetto alla mortalità e alla prevenzione delle infezioni, almeno in soggetti gravemente carenti, sembrano convincenti.

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Vitamina D e COVID-19

In una panoramica di studi estremamente vasta, si è aggiunto un tema ulteriore, quello di una possibile connessione tra carenza di vitamina D e possibili maggiori rischi nella pandemia Covid-19. La ricerca in PubMed ha identificato 36 studi al 19 maggio.

Appena pubblicato su The Lancet Diabetology Endocrinology e non ancora in PubMed il giorno della nostra ricerca è Vitamin-D and COVID-19: do deficient risk a poorer outcome? Il breve articolo, pur non riportando alcun riferimento bibliografico, traccia una sintesi delle possibili riflessioni sul tema e rimanda a ulteriori approfondimenti.

Analizziamone per il momento alcuni degli studi della nostra ricerca.

Il ruolo della vitamina D è discusso nel recente articolo The role of vitamin D in the prevention of coronavirus disease 2019 infection and mortality. Obiettivo dello studio era proporre l'ipotesi che esista una potenziale associazione tra livelli medi di vitamina D nei vari paesi con casi e mortalità per COVID-19. Sono stati acquisiti i dati sui livelli medi di vitamina D per 20 paesi europei e la morbilità e mortalità causate da COVID-19.
Sono state osservate correlazioni tra i livelli medi di vitamina D (media 56 mmol / L, STDEV 10.61) in ciascun paese e il numero di casi COVID-19/1 M (media 295,95, STDEV 298,7 e mortalità / 1 M (media 5,96, STDEV 15,13 ). I livelli di vitamina D molto bassi nella persone anziane (soprattutto in Spagna, Italia e Svizzera) rendono ancor più vulnerabile questa popolazione a COVID-19.

Nello studio sono spiegati i possibili meccanismi di interazione vitamina D-COVID, ricordando ad esempio che la malattia comporta un'interazione complessa con il sistema immunitario. Il calcitriolo (1,25-dihydroxyvitamin D3) esercita un pronunciato impatto sull'asse ACE2 / Ang (1–7) / MasR con potenziamento dell’espressione di ACE2. ACE2 è il recettore delle cellule ospiti, responsabile della mediazione dell'infezione da SARS-CoV-2. A partire da questa prospettiva potrebbe essere evidente che il rischio di infezione possa essere più alto.

Anche un altro studio Evidence that Vitamin D Supplementation Could Reduce Risk of Influenza and COVID-19 Infections and Deaths
esamina il ruolo della vitamina D nel ridurre il rischio di infezioni del tratto respiratorio e fa il punto sulle conoscenze epidemiologiche di influenza e COVID-19 e di come l'integrazione di vitamina D potrebbe essere una misura utile per ridurre il rischio.

Secondo gli autori, i meccanismi attraverso i quali la vitamina D può ridurre il rischio di infezioni includono:
  • l'induzione di catelicidine e defensine che possono abbassare i tassi di replicazione virale
  • ridurre le concentrazioni di citochine pro-infiammatorie che producono l'infiammazione che danneggia il rivestimento dei polmoni, portando alla polmonite
  • aumentare le concentrazioni di citochine anti-infiammatorie.
Studi osservazionali e studi clinici, alcuni ma non tutti, hanno riportato che l'integrazione di vitamina D riduceva il rischio di influenza.

Di seguito le osservazioni a sostegno del possibile ruolo della vitamina D nella riduzione del rischio di COVID-19:
  • l'epidemia si è verificata in inverno, un momento in cui le concentrazioni di 25-idrossivitamina D (25 (OH) D) sono più basse
  • il numero di casi nell'emisfero australe verso la fine dell'estate è basso
  • si è scoperto che la carenza di vitamina D contribuisce alla sindrome da distress respiratorio acuto
  • i tassi di mortalità per caso aumentano con l'età e con la comorbidità delle malattie croniche, entrambe associate a una concentrazione più bassa di 25 (OH) D.
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Latitudine ed effetti su COVID-19

Un editoriale Low population mortality from COVID-19 in countries south of latitude 35 degrees North supports vitamin D as a factor determining severity evidenzia come la latitudine (e quindi l’esposizione solare fondamentale per il processo di attivazione della vitamina D) sia un fattore determinante nella severità dell’infezione.

Quando la mortalità per milione di abitanti viene tracciata (plotted) mediante la latitudine, può essere notato che tutti i paesi che si trovano al di sotto dei 35 gradi nord hanno una mortalità relativamente bassa per COVID-19.
I trentacinque gradi nord sembrano essere la latitudine sopra la quale le persone non ricevono abbastanza luce solare per mantenere adeguati livelli di vitamina D durante l'inverno; questo suggerisce un possibile ruolo della vitamina D nel determinare i risultati di COVID19.

Naturalmente ci sono valori anomali: la mortalità è relativamente bassa nei paesi nordici, ma la carenza di vitamina D è relativamente rara, probabilmente a causa dell'uso diffuso di integratoriItalia e Spagna, forse sorprendentemente, hanno una prevalenza relativamente alta di carenza vitamina D.

Due mappe, riprese da altro studio Scientific Strabismus' or Two Related Pandemics: COVID-19 & Vitamin D Deficiency ci fanno meglio comprendere quanto importante sia la carenza della vitamina D sulla mortalità per Covid-19.

Nella figura che segue, la mappa con i decessi totali e la percentuale di grave carenza di vitamina D nei paesi più comunemente colpiti da COVID-19.
vitaminaD covid mondo

Nella figura sottostante l'istogramma che mostra la prevalenza della carenza di vitamina D (<50 nmol / L) e la grave
carenza (<25 nmol / L) tra i 40 paesi più comunemente colpiti dal COVID-19. Il numero sopra ogni colonna rappresenta la posizione del paese nella classifica mondiale relativa al numero di casi totali di infezione. La banda di colore è una rappresentazione grafica delle quattro principali zone climatiche del mondo.
vitaminaD istogrammaindice


Per saperne di più:

quadratino Covid-19, carenza di vitamina D e perdita dell'olfatto e del gusto. Mantenere dei normali livelli di #VitD potrebbe essere importante per trattare due sintomi tipici del Covid19, quali la perdita dell'olfatto e del gusto.
L'approfondimento dell'Istituto superiore di sanita del 21 maggio 2020

quadratino ISS-AISM 2018. Vitamina D: un ormone multifunzione

quadratino Is vitamin D deficiency a major global public health problem?
Palacios C, Gonzalez L. J Steroid Biochem Mol Biol. 2014 Oct;144 Pt A:138-45. doi: 10.1016/j.jsbmb.2013.11.003. Epub 2013 Nov 12. Review.

quadratino Current vitamin D status in European and Middle East countries and strategies to prevent vitamin D deficiency: a position statement of the European Calcified Tissue Society
Lips P, Cashman KD, Lamberg-Allardt C,et al. Eur J Endocrinol. 2019 Apr;180(4):P23-P54. doi: 10.1530/EJE-18-0736. Review.

quadratino Italian Association of Clinical Endocrinologists (AME) and Italian Chapter of the American Association of Clinical Endocrinologists (AACE) Position Statement: Clinical Management of Vitamin D Deficiency in Adults
Cesareo R, Attanasio R, Caputo M, et al; AME and Italian AACE Chapter. Nutrients. 2018 Apr 27;10(5). pii: E546. doi: 10.3390/nu10050546. Review.

quadratino Vitamin D deficiency 2.0: an update on the current status worldwide
Amrein K, Scherkl M, Hoffmann M, et al. Eur J Clin Nutr. 2020 Jan 20. doi: 10.1038/s41430-020-0558-y. [Epub ahead of print] Review.

quadratino Vitamin-D and COVID-19: do deficient risk a poorer outcome?
Mitchell F. Lancet Diab Endocr 2020 May 20

quadratino The role of vitamin D in the prevention of coronavirus disease 2019 infection and mortality
Ilie PC, Stefanescu S, Smith L. Aging Clin Exp Res. 2020 May 6. doi: 10.1007/s40520-020-01570-8. [Epub ahead of print]

quadratino Evidence that Vitamin D Supplementation Could Reduce Risk of Influenza and COVID-19 Infections and Deaths
Grant WB, Lahore H, McDonnell SL, et al. Nutrients. 2020 Apr 2;12(4). pii: E988. doi: 10.3390/nu12040988. Review.

quadratino Low population mortality from COVID-19 in countries south of latitude 35 degrees North supports vitamin D as a factor determining severity
Rhodes JM, Subramanian S, Laird E, Kenny RA. Aliment Pharmacol Ther. 2020 Apr 20. doi: 10.1111/apt.15777. [Epub ahead of print] No abstract available.
quadratino Scientific Strabismus' or Two Related Pandemics: COVID-19 & Vitamin D Deficiency
Kara M, Ekiz T, Ricci V, Kara Ö, Chang KV, Özçakar L. Br J Nutr. 2020 May 12:1-20. doi: 10.1017/S0007114520001749. [Epub ahead of print]


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