1/3/2021

Vitamina D e Covid-19: l’uso degli integratori tra consensi e opposizioni


Occorrono molti studi per giungere a evidenze concrete: per la vitamina D tutta la storia è caratterizzata da tappe e incertezze. Ne ripercorriamo alcune, soffermandoci poi sul dibattito in corso sugli integratori per prevenire oppure come cura aggiuntiva contro Covid-19.

La storia della vitamina D: dalla lotta al rachitismo a quella contro Covid-19

La precisa valutazione dell’importanza e degli effetti di un determinato elemento non è sempre immediata. Tre studi recenti possono aiutare chi vuole comprendere come il valore della vitamina D sia stato indagato e stabilito nel corso del tempo:
Riprendendo da questi studi, riportiamo alcuni brevi cenni storici.

Le prime descrizioni del rachitismo risalgono al I-II secolo d.C., con descrizioni di Sorano di Efeso e Galeno di Pergamo di bambini romani con deformità ossee che venivano attribuite a generiche carenze alimentari e igieniche, ma le prime descrizioni scientifiche della classica malattia ossea, il rachitismo, furono fornite tra il 1645 e il 1660 dal Dr. Daniel Whistler presso l'Università di Leiden e dal Prof. Francis Glisson dell’Università di Cambridge.
Con la rivoluzione industriale i casi di rachitismo si moltiplicarono e nel 1800 svariati studi furono iniziati per cercare una cura a questa patologia che era diventata endemica nel Nord America e nel Nord Europa. Alcuni ricercatori concentrarono la loro attenzione sull’alimentazione, approfondendo il legame tra alimentazione e rachitismo, altri scienziati seguirono e sostennero il legame tra luce solare e incidenza di rachitismo.
A seguito di alcuni esperimenti, venne attribuita un’azione antirachitica a un fattore denominato “vitamina D”.
I ricercatori scoprirono successivamente che la vitamina D veniva metabolizzata nel fegato e nei reni ed era in grado di controllare i livelli di calcio nel sangue attraverso un’azione esplicata nell’intestino.
Questa informazione portò gli scienziati a riclassificare la vitamina D come ormone piuttosto che come una vitamina, e questo generò a sua volta altre ricerche.
Certamente i risultati degli studi intrapresi dall’inizio del 1900, sono quelli più rilevanti per le attuali conoscenze. L'articolo sopra citato - Vitamina D: la storia antica di un ormone moderno - sintetizza le tappe fondamentali della storia.

Conosciamo meglio questo elemento.
Esistono 2 forme iniziali di vitamina D: l’ergosterolo (D2) che si forma nella piante sotto l’azione del sole e il colecalciferolo (D3) che origina dal colesterolo ed è sintetizzato dagli organismi animali nella cute sotto l’azione dei raggi solari.

Il deidrocolesterolo sotto l’azione dei raggi solari viene metabolizzato in colecalciferolo che si deposita nei tessuti epatici e muscolari e successivamente, tramite 2 meccanismi di attivazione diverrà in sede epatica e renale calcitriolo, la forma biologicamente attiva.
deidrocolesterolo calcitrioloImmagine ripresa da: History of the discovery of vitamin D and its active metabolites

La vitamina D svolge un'importante ruolo nello sviluppo di molte patologie: una sintesi degli effetti su alcune di queste è riportata da Harvard T.H. Chan School of Public Health. L'articolo contiene i riferimenti a studi selezionati per: salute delle ossa e forza muscolare, cancro, cardiopatia, diabete di tipo 2, funzione immunitaria, rischio di morte prematura.

Il ruolo potenziale della vitamina D contro Covid-19 e i rischi di un apporto insufficiente

Segnalata già in una news nel mese di novembre 2020, la revisione Evidence Regarding Vitamin D and Risk of COVID-19 and Its Severity evidenzia le potenzialità della vitamina D anche contro Covid-19.

Al momento della revisione, quattordici studi osservazionali offrivano la prova che le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D erano inversamente correlate con l'incidenza o la gravità del COVID-19.
Le prove fino a quel momento soddisfacevano generalmente i criteri di Hill per la causalità in un sistema biologico, vale a dire forza di associazione, consistenza, temporalità, gradiente biologico, plausibilità (ad esempio meccanismi) e coerenza, sebbene mancasse la verifica sperimentale.

Attraverso le sue interazioni con una moltitudine di cellule, la vitamina D può avere diversi modi per ridurre il rischio di infezioni acute del tratto respiratorio e di COVID-19:
  • ridurre la sopravvivenza e la replicazione dei virus
  • ridurre il rischio di produzione di citochine infiammatorie
  • aumentare le concentrazioni dell'enzima di conversione dell'angiotensina 2
  • mantenimento dell'integrità endoteliale.
Precedentemente, nel mese di maggio del 2020 ci chiedevamo se la carenza di vitamina D fosse un possibile fattore di rischio per l'aggravamento di Covid-19.

Da quel momento sono moltissimi gli studi pubblicati o in corso.

Solo per esempio, gli autori di un recentissimo studio Low Vitamin D Status at Admission as a Risk Factor for Poor Survival in Hospitalized Patients With COVID-19: An Italian Retrospective Study, concludono di aver trovato una prevalenza marcatamente alta (100%) di ipovitaminosi D nei pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19, suggerendo un possibile ruolo di un basso stato di vitamina D nell'aumentare il rischio di infezione da SARS-CoV-2 e successivo ricovero in ospedale. L'associazione inversa tra i livelli sierici di 25 (OH) D e il rischio di mortalità intraospedaliera osservata nella coorte suggerisce che uno stato di vitamina D inferiore al momento del ricovero può rappresentare un fattore di rischio modificabile e indipendente per la prognosi sfavorevole in COVID-19.

Gli integratori tra consenso e dissenso

La quota di vitamina D che assumiamo con i cibi e/o l’esposizione solare è talvolta insufficiente a garantirci un adeguato apporto. Per dare un’idea del possibile contenuto in alcuni alimenti, riportiamo un’immagine ripresa dal sito del Programma Smartfood dell'IEO, Istituto Europeo di Oncologia di Milano.
fonti vitamina dNegli integratori, così come negli alimenti fortificati, la vitamina D può essere presente in due diverse forme, la D2 (ergocalciferolo, di origine fungina e vegetale) e la D3 (colecalciferolo, di origine animale).

Troppi messaggi promozionali non basati sulle evidenze

Gli integratori sono utilizzati per aiutare a sopperire alla carenza, ma il loro ruolo deve essere sempre attentamente valutato e non devono essere utilizzati “messaggi” che creino “illusioni”.

Già In una locandina del lontano 1936, veniva reclamizzata una marca di birra contenente vitamina D. “To help retain the peak of sunny summer health — to help maintain rugged resistance to winter colds and sickness — drink Schlitz [beer], with Sunshine Vitamin D”: American Magazine from December, 1936. Il messaggio riportava un “fondo di verità”, in una forma molto “accattivante”.
fonti vitamina d birra

All’inizio della pandemia si sono diffusi messaggi “promozionali” per varie sostanze dal “magico” potere contro Covid-19, con intenti molte volte solo per fini commerciali.

Questo ha portato necessariamente il Ministero della Salute a dover pubblicare un elenco di fake news. Anche la vitamina D è entrata in questa lista ed ancora possiamo consultare la scheda aggiornata al novembre 2020, in cui si legge: Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus. La circolare del 30 novembre 2020 sottolineava che, a quella data, non esistevano evidenze solide e incontrovertibili (ovvero derivanti da studi clinici controllati) di efficacia di supplementi vitaminici e integratori alimentari (ad esempio vitamine, inclusa vitamina D, lattoferrina, quercitina), il cui utilizzo per questa indicazione non era, quindi, raccomandato.

Precedentemente, nel mese di maggio 2020, l'ISS in una news, citando uno studio croato, sembrava essere favorevole al mantenimento di dosi adeguate di vitamina D. Questo non solo per ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma perché potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19, quali l'anosmia e l'ageusia, ossia rispettivamente la perdita dell'olfatto e del gusto lamentati da più pazienti”.

Vitamina D e Covid: studi in corso e “posizioni” nel dibattito

Ciò premesso, dobbiamo considerare gli svariati studi che stanno ad oggi valutando l’uso degli integratori, pur con risultati non sempre del tutto omogenei. Questo peraltro crea difficoltà nell’inevitabile selezione: proviamo comunque a segnalare alcuni.

Ricordiamo prima di tutto che molti trial riferiti alla vitamina D e al suo ruolo nella pandemia Covid 19, sono nella fase “Recruiting” e sono consultabili su: clinicaltrials.gov

quadratinoLo studio Vitamin D and COVID-19: evidence and recommendations for supplementation lancia, sulla base di evidenze accuratamente descritte, un appello per l’uso degli integratori e non soltanto contro Covid-19. Nell’abstract si legge infatti: “Esortiamo il Regno Unito e altri governi a raccomandare l'integrazione di vitamina D a 800-1000 UI / giorno per tutti, chiarendo che questo è per aiutare a ottimizzare la salute immunitaria e non solo per la salute delle ossa e dei muscoli. Questa prescrizione dovrebbe essere obbligatoria nelle case di cura, nelle carceri e in altre istituzioni dove è probabile che le persone siano state in casa per gran parte dell'estate. Gli adulti, che potrebbero essere carenti, dovrebbero prendere in considerazione l'assunzione di una dose più alta, ad es. 4000 UI / giorno per le prime quattro settimane prima della riduzione a 800 UI-1000 UI / giorno. Le persone ricoverate in ospedale con COVID-19 dovrebbero far controllare e / o integrare il loro stato di vitamina D e si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di testare calcifediolo ad alte dosi nello studio RECOVERY. Riteniamo che ciò debba essere perseguito con grande urgenza. Sembra che non ci sia nulla da perdere e potenzialmente molto da guadagnare”.

quadratinoQuasi in concomitanza a questo appello NICE (National Institute for Health and Care Excellence) ha pubblicato il 17 dicembre 2020 le linee guida “Vitamin D for COVID-19”, sulla base di una accurata revisione della letteratura, che sarà comunque sempre sottoposta a aggiornamenti.
Al momento comunque, il gruppo di esperti (panel):
  • conveniva che c'erano piccole prove (little evidence) per l'utilizzo di integratori di vitamina D per prevenire o trattare COVID-19
  • tuttavia, riteneva che l'uso della vitamina D fosse ben consolidato per mantenere la salute delle ossa e dei muscoli
  • esprimeva preoccupazione per il fatto che non tutti sono a conoscenza o stanno seguendo i consigli del governo britannico sull'assunzione di un integratore di vitamina D, quindi hanno voluto includere una raccomandazione per enfatizzare la guida esistente
  • sottolineava che tutti dovrebbero prendere in considerazione l'assunzione di un integratore contenente 10 microgrammi (400 unità) di vitamina D al giorno (n.d.r. dose diversa da quella proposta dagli autori dello studio sopra citato) tra ottobre e l'inizio di marzo, quando le persone nel Regno Unito non producono abbastanza vitamina D dalla luce solare
  • evidenziava che questo era particolarmente importante durante la pandemia COVID-19, quando le persone potevano essere state in casa più del solito durante la primavera e l'estate.
Il gruppo ha discusso che, per la maggior parte delle persone, 10 microgrammi (400 unità) di vitamina D al giorno saranno sufficienti per impedire che la concentrazione sierica di 25 (OH) D scenda al di sotto di 25 nmol / litro. Assumere una dose troppo alta di vitamina D per un lungo periodo di tempo potrebbe essere dannoso perché può causare un accumulo eccessivo di calcio nel corpo (ipercalcemia) e questo può indebolire le ossa e danneggiare i reni e il cuore. Il livello di assunzione superiore tollerabile per adulti e giovani di età superiore a 11 anni è di 100 microgrammi (4.000 unità) al giorno e che questa dose non deve essere superata. Il panel ha anche osservato che è importante per alcune popolazioni assumere un integratore contenente 10 microgrammi (400 unità) di vitamina D al giorno durante tutto l'anno. Ciò include le persone che sono a maggior rischio di non assumere abbastanza vitamina D a causa, ad esempio, della mancanza di esposizione alla luce solare durante i mesi primaverili ed estivi.

quadratinoSegnaliamo un altro studio, anche se la revisione è indubbiamente più limitata rispetto al lavoro svolto dal panel di esperti di NICE: Effects of Vitamin D on COVID-19 Infection and Prognosis: A Systematic Review. Riportiamo uno stralcio dell’abstract con la posizione degli autori:
  • esistono revisioni sistematiche inadeguate che riassumono la relazione tra vitamina D e infezioni da COVID-19 e prognosi
  • l'obiettivo di questa revisione sistematica era di riassumere e decidere se ci fosse una relazione tra lo stato della vitamina D, infezione e prognosi da COVID-19
  • è stata eseguita una ricerca inclusiva della letteratura da agosto a settembre 2020, sono stati considerati anche alcuni articoli pubblicati di recente successivamente alla ricerca e sono stati inclusi articoli pubblicati dal 2019 al 2020
  • in sintesi, il 77,8% degli articoli esaminati ha mostrato che lo stato della vitamina D era correlato all'infezione, alla prognosi e alla mortalità di COVID-19
  • in conclusione, la maggior parte degli articoli ha mostrato che lo stato di vitamina D nel sangue potrebbe essere utilizzata per valutare il rischio di contrarre COVID-19, la gravità della malattia da COVID-19 e la morte. Pertanto, per far fronte alla pandemia si raccomanda al pubblico di mantenere livelli appropriati di vitamina D attraverso l'integrazione o naturalmente attraverso la luce solare.
quadratinoAnche l’articolo Vitamin D Supplementation to Prevent COVID-19 Infections and Deaths - Accumulating Evidence from Epidemiological and Intervention Studies Calls for Immediate Action, riprendendo e integrando i dati emersi dalla revisione sistematica Evidence that Vitamin D Supplementation Could Reduce Risk of Influenza and COVID-19 Infections and Deaths, fornisce una sintesi aggiornata sul tema. Riporta i risultati di studi epidemiologici e di interventi condotti durante la pandemia COVID-19 sulle evidenze di un possibile ruolo dell’integrazione di vitamina D per prevenire le infezioni da COVID-19, il decorso grave della malattia e la mortalità. Offre infine una panoramica sulle sperimentazioni in corso, sulla salute pubblica e affronta le implicazioni cliniche delle attuali prove.

Come esempio di recenti studi sull’efficacia degli integratori di vitamina D nelle cure contro Covid-19 segnaliamo due articoli, il primo dei quali pubblicato nella prestigiosa rivista Jama.

quadratinoUna singola dose elevata di vitamina D3 non riduce significativamente la durata della degenza ospedaliera
Da Jama: Effect of a Single High Dose of Vitamin D3 on Hospital Length of Stay in Patients With Moderate to Severe COVID-19: A Randomized Clinical Trial. Lo studio, un trial multicentrico, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, svolto in Brasile, ha incluso 240 pazienti ricoverati per Covid-19 per condizioni da moderate a severe al momento del reclutamento (dal 2 giugno al 27 agosto 2020). Il follow-up finale è stato concluso il 27 ottobre. I pazienti erano casualmente suddivisi per ricevere una singola dose orale di 200 000 IU di vitamin D3 (n = 120) o inseriti nel gruppo di controllo - placebo (n = 120).
Il primo outcome era il tempo di degenza, definito come il tempo intercorrente dalla data di “randomizzazione” nel trial alla dimissione dall’ospedale. Gli esiti secondari includevano la mortalità durante il ricovero, il numero di pazienti ammessi al reparto di terapia intensiva, il numero di pazienti che avevano richiesto ventilazione meccanica e la durata, i livelli sierici di 25-idrossivitamina D, calcio totale, creatinina e proteina C-reattiva. 
Di 240 pazienti randomizzati, 237 sono stati inclusi nell'analisi primaria (età media [SD], 56,2 [14,4] anni; 104 [43,9%] donne; livello basale medio [SD] di 25-idrossivitamina D, 20,9 [9,2] ng / mL). La durata mediana (intervallo interquartile) della degenza non era significativamente diversa tra i gruppi vitamina D3 (7,0 [4,0-10,0] giorni) e placebo (7,0 [5,0-13,0] giorni) (log-rank P = 0,59; rapporto di rischio non aggiustato per dimissione ospedaliera, 1,07 [IC 95%, 0,82-1,39]; P = 0,62).
La differenza tra il gruppo vitamina D3 e il gruppo placebo non era significativa per la mortalità ospedaliera (7,6% vs 5,1%; differenza, 2,5% [IC 95%, da –4,1% a 9,2%]; P = .43), ricovero all'unità di terapia intensiva (16,0% vs 21,2%; differenza, -5,2% [IC 95%, da -15,1% a 4,7%]; P = 0,30), o necessità di ventilazione meccanica (7,6% vs 14,4%; differenza, –6,8% [95% CI, da –15,1% a 1,2%]; P = .09).
I livelli sierici medi di 25-idrossivitamina D sono aumentati significativamente dopo una singola dose di vitamina D3 rispetto al placebo (44,4 ng / ml vs 19,8 ng / ml; differenza, 24,1 ng / ml [95% CI, 19,5-28,7]; P <0,001 ). Non ci sono stati eventi avversi, ma un episodio di vomito è stato associato all'intervento.
La conclusione a cui sono giunti gli autori è che: tra i pazienti ospedalizzati con COVID-19, una singola dose elevata di vitamina D3, rispetto al placebo, non ha ridotto significativamente la durata della degenza ospedaliera. I risultati non supportano l'uso di una dose elevata di vitamina D3 per il trattamento del COVID-19 da moderato a grave.

quadratinoPotenziale beneficio del colecalciferolo in pazienti Covid-19 con comorbidità
Da Nutrients: Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study. Lo scopo di questo studio era di esaminare retrospettivamente l'esito clinico dei pazienti che ricevevano colecalciferolo in bolo ad alte dosi, in ospedale. Sono stati presi in considerazione pazienti con diagnosi positiva di SARS-CoV-2 e COVID-19 palese, ricoverati in ospedale dal 15 marzo al 20 aprile 2020. In base alle caratteristiche cliniche, sono stati somministrati (o no) 400.000 UI di colecalciferolo orale in bolo (200.000 UI somministrati in due giorni consecutivi) ed è stato registrato l'esito composito (trasferimento all'unità di terapia intensiva; ICU e / o morte).
Novantuno pazienti (di età compresa tra 74 ± 13 anni) con COVID-19 sono stati inclusi in questo studio retrospettivo. Cinquanta (54,9%) pazienti presentavano due o più malattie concomitanti.
In base alla decisione del medico curante, 36 pazienti (39,6%) sono stati trattati con vitamina D.
L'analisi della curva operativa (Receiver operating characteristic curve analysis) ha rivelato un significativo potere predittivo delle quattro variabili per spiegare la decisione di somministrare vitamina D (area sotto la curva = 0,77, IC 95%: 0,67-0,87, p <0,0001):
  • basso (<50 nmol / L) livello di vitamina D
  • fumo di sigaretta attuale
  • livelli elevati di D-dimer
  • e presenza di malattie concomitanti
Durante il periodo di follow-up (14 ± 10 giorni), 27 (29,7%) pazienti sono stati trasferiti in terapia intensiva e 22 (24,2%) sono deceduti (16 prima della terapia intensiva e sei in terapia intensiva).
Complessivamente, 43 pazienti (47,3%) hanno manifestato l'endpoint combinato di trasferimento in terapia intensiva e / o morte. Le analisi di regressione logistica hanno rivelato che il carico di comorbidità ha modificato in modo significativo l'effetto del trattamento con vitamina D sull'esito dello studio, sia nell'analisi grezza (p = 0,033) che in quella aggiustata per il punteggio di propensione (p = 0,039), quindi l'esito positivo del colecalciferolo ad alte dosi sull'endpoint combinato è stato significativamente amplificato con l'aumento del carico di comorbidità. Questo studio che genera ipotesi garantisce la valutazione formale (cioè, sperimentazione clinica) del potenziale beneficio che il colecalciferolo può offrire in questi pazienti in comorbidità COVID-19.

Vitamina D nelle cure contro Covid-19: conclusioni

Forse l’unica riflessione da fare è quella riportata da un editoriale di The Lancet Diabetes Endocrinology. “NICE dovrebbe continuare a monitorare nuove prove sottoposte a peer review e pubblicate, inclusi i risultati da diversi studi clinici attualmente in corso sulla vitamina D e COVID-19. Tuttavia, in particolare nei paesi in cui la situazione pandemica continua a peggiorare (e continuerà a farlo durante i mesi invernali prima che gli effetti delle vaccinazioni diventino tangibili), ulteriori prove potrebbero arrivare solo troppo tardi. In un mondo ideale, tutte le decisioni sulla salute dovrebbero essere basate su prove schiaccianti, ma in tempo di crisi può essere richiesto un insieme di regole leggermente diverso”.



Per saperne di più:

quadratino Le altre news di NBST sul tema:
22/03/2021. Livelli di vitamina D e prognosi nei pazienti con Covid-19
19/11/2020. Le evidenze della relazione tra vitamina D e rischio e gravità di Covid-19
22/05/2020. Carenza di vitamina D possibile fattore di rischio per l'aggravamento di Covid-19?





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