29/1/2024

La pandemia è finita, ma gli studi su Covid-19 continuano. Il punto sulle ricerche più recenti


Il 5 maggio 2023, dopo 1221 giorni da quel 30 gennaio 2020 quando il mondo piombò improvvisamente nell'incubo Covid-19, l’annuncio di Tedros Ghebreyesus della fine dello stato di emergenza, ebbe il sapore di una liberazione.

Covid-19 è purtroppo ancora presente, ma i suoi devastanti effetti sono in gran parte superati, pur lasciando un ricordo indelebile nella memoria di tutti noi.

Del periodo di emergenza, rimarranno anche le testimonianze scritte dell’immenso lavoro che medici, scienziati e tutti i ricercatori hanno svolto per comprendere inizialmente “cos’era” SARS-Cov-2, per trovare cure e vaccini contro Covid-19, per organizzare i servizi sanitari e assistere i pazienti. 


Cosa trovi in questo approfondimento:

L’infodemia “nell’emergenza”
Caos per la quantità di pubblicazioni, ma risposte tempestive
A che punto è oggi la ricerca su Covid-19
Quanto sono stati efficaci i vaccini?
Le novità sui vaccini
Quali sono le varianti in circolazione?
• Le cure promettenti o superate
Idrossiclorichina
Antivirali
• Fattori predisponenti all’infezione e a esiti più gravi
• Definizioni e sintomi nel post-Covid (denominato anche long Covid)
• Nuove cure contro long Covid
• Costi delle cure e riabilitazione dopo Covid-19



L’infodemia “nell’emergenza”

Nel periodo dell’emergenza, “infiniti” sono stati gli studi effettuati per cercare di comprendere e contrastare il virus. Come definizione di infodemia riportiamo quella dell'Accademia della Crusca: "Abnorme flusso di informazioni di qualità variabile su un argomento, prodotte e messe in circolazione con estrema rapidità e capillarità attraverso i media tradizionali e digitali, tale da generare disinformazione, con conseguente distorsione della realtà ed effetti potenzialmente pericolosi sul piano delle reazioni e dei comportamenti sociali".

Nella miriade di articoli pubblicati, non è stato facile selezionare all’interno del portale NBST quelli più rilevanti e con risultati attendibili, cercando di offrire un costante aggiornamento bibliografico almeno su alcune delle tematiche di maggiore interesse.

Una revisione sistematica The most influential COVID-19 articles: A systematic review evidenzia come nelle prime fasi di una pandemia, ricerche innovative siano emerse e siano state altamente citate, indipendentemente dal livello di evidenza (vedi figura).


Figura 4. Analisi delle componenti principali del rapporto tra numero di citazioni, densità di citazioni, livello di evidenza e impatto.


Nel 2023, commentando il modo con cui gli articoli venivano pubblicati nel periodo pandemico, Clark (redattore internazionale del BMJ e redattore esecutivo presso The Lancet durante l'epidemia Covid-19)  intitolava una "feature" How covid-19 bolstered an already perverse publishing system. Non possiamo riportare qui l’intero testo, ma consigliamo di leggerlo perché porta a numerose riflessioni già dalla frase iniziale: «La pandemia ha messo il turbo all’editoria scientifica. Sebbene questo sia stato ampiamente considerato un trionfo collettivo contro una minaccia globale, i danni dell’editoria del periodo pandemico sono stati trascurati?».

Solo per ripercorrere ciò che accadeva nel mondo dell’editoria all’inizio e nelle prime fasi della pandemia.
  • Eric Rubin, redattore capo del New England Journal of Medicine (NEJM) era in carica da soli tre mesi. Era entrato nel ruolo senza precedenti esperienze editoriali, ma con una carriera nella medicina delle malattie infettive: «Non mi aspettavo che la mia formazione sarebbe stata così utile». Non appena la notizia di un'epidemia in Cina, simile alla polmonite, ha raggiunto gli editori del NEJM «Abbiamo fatto alcune telefonate per capire cosa stesse succedendo, sollecitando manoscritti ai colleghi di Wuhan e successivamente in Italia e negli Stati Uniti quando l'epidemia si è diffusa», affermò Rubin.
  • Gli editori sentivano la pressione dei carichi di lavoro, ma anche la responsabilità. Richard Horton, direttore di The Lancet, dichiarò al New York Times: «Siamo davvero convinti di pubblicare una ricerca che letteralmente, giorno dopo giorno, guida la risposta nazionale e globale a questo virus? Se commettiamo un errore nel giudizio su ciò che pubblichiamo, ciò potrebbe avere un impatto pericoloso sul corso della pandemia».
Questa è stata la prima pandemia globale che l’industria dell’editoria scientifica abbia mai affrontato (sebbene esistessero le riviste, nessuna industria organizzata lo fece quando si verificò la pandemia influenzale del 1918) e la prima in una nuova era digitale della comunicazione e dell’editoria su Internet. 

Si stima che circa 1,5 milioni di articoli siano stati aggiunti alla letteratura globale nel 2020: il più grande aumento annuale nella storia, afferma Vincent Larivière, che studia bibliometria all’Università di Montreal. Il picco è stato raggiunto nell’aprile 2020, quando molti paesi erano completamente bloccati o applicavano pesanti restrizioni. Alcuni hanno visto questo periodo come un’opportunità. 

Sono state promesse una scienza e una pubblicazione più aperte: un certo numero di riviste e istituti di ricerca hanno accettato l'impegno per la condivisione dei dati promosso dal Wellcome Trust il 31 gennaio 2020, inteso a “garantire che i risultati della ricerca e i dati rilevanti per questa epidemia fossero condivisi per informare rapidamente e apertamente la risposta sanitaria pubblica e contribuire a salvare vite umane”.

Ma la situazione ha anche stimolato un settore, secondo alcuni, già contorto – un settore che prospera sulla competitività – a pubblicare i primi dati o ad avere la massima visibilità e impatto. Ciò ha cambiato il modo in cui i documenti venivano prodotti e controllati, nel bene e nel male”.

L'articolo del BMJ affronta, con esempi concreti di ciò che è avvenuto e commenti di esperti, alcune altre problematiche. Riportiamo alcune frasi, ben comprendendo il rischio che, estrapolate dal contesto, possano perdere di valore e del reale significato.


Too much, too fast, too bad? 

Le riviste mediche hanno dimezzato i tempi di consegna nella prima metà del 2020. Nonostante la natura sconosciuta del virus, gli editori hanno impiegato molto meno tempo, anziché di più, per prendere decisioni, come ha rilevato un’analisi del febbraio 2023 su 339.000 articoli.

Più minacciose per la fiducia delle persone, nei giornali sono state le ritrattazioni di alto profilo, in particolare quelle di articoli su The Lancet e NEJM del maggio 2020 che riportavano l'efficacia precoce dell'idrossiclorochina per il Covid-19, successivamente ritenuti fraudolenti.

Tuttavia, contro le aspettative, le ritrattazioni non sono aumentate a un livello tale da eguagliare l’enorme incremento del volume e della velocità di pubblicazione dei documenti su Covid. Retraction Watch, un sito web che tiene traccia del fenomeno, ha registrato 301 documenti ritrattati o ritirati fino all'8 febbraio 2023. Si stima che solo lo 0,07% dei documenti Covid sia stato ritirato.

Not-so-open science

I progressi verso una ricerca più aperta sono stati deludenti. Sebbene i principali editori abbiano concordato di rendere i loro contenuti sulla pandemia in corso aperti e riutilizzabili, la valutazione di Wellcome Trust ha rilevato che solo il 46% dei documenti dei firmatari erano realmente ad accesso libero, dove il riutilizzo era consentito e gli autori mantenevano il copyright.


“Covidisation”

Vengono sollevate preoccupazioni sul fatto che il predominio di articoli relativi al Covid nelle riviste mediche sia avvenuto a scapito di altri problemi di salute come le malattie non trasmissibili, la violenza e la salute mentale. 

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Caos per la quantità di pubblicazioni, ma risposte tempestive

Un altro recente articolo The scientific chaos phase of the great pandemic: A longitudinal analysis and systematic review of the first surge of clinical research concerning Covid-19 descrive quella che viene definita “la fase del caos scientifico della grande pandemia”. Gli autori hanno considerato la prima “ondata” di oltre 1000 trial clinici sulla nuova malattia al 1 aprile 2020, conducendo un follow-up dopo due anni per monitorare i loro progressi.

E’ stato evidenziato che:
  • l’evoluzione spaziale ha seguito la diffusione geografica della malattia, come previsto, tuttavia, lo sviluppo temporale ha suggerito che il panico fosse il principale motore delle attività di ricerca clinica
  • i registri delle sperimentazioni hanno mostrato un’enorme mancanza di trasparenza consentendo registrazioni retroattive, spesso non aggiornate
  • erano presenti sprechi e ridondanze nella ricerca come suggerito dall'interruzione delle sperimentazioni, difetti evitabili nella progettazione degli studi, e argomenti di ricerca simili ma non coordinati, frammentati operativamente in strutture isolate a silos.
Il meccanismo di risposta scientifica in tutto il mondo è rimasto comunque intatto durante la fase del caos.

Sono tuttavia necessarie supervisione, leadership e responsabilità per prevenire gli sprechi della ricerca, per garantire struttura, qualità e validità efficaci per spezzare definitivamente il ciclo del "panic-then-forget" in caso di future catastrofi. 

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A che punto è oggi la ricerca su Covid-19

Durante lìemergenza gli studi si sono concentrati sull'efficacia su campo dei vaccini e di alcuni farmaci.

Oggi l'attenzione è rivolta anche a comprendere quali possono essere i fattori predisponenti alle infezioni e agli esiti più gravi, oltre le pregresse patologie.
Molti studi si concentrano sulle nuove varianti, sulle condizioni denominate “post-acute sequelae of Covid-19” (PASC) o long Covid e sulla relativa riabilitazione.

Non è possibile selezionare e segnalare qui tutti gli studi degni di attenzione. Abbiamo deciso di evidenziarne alcuni che possono essere utili per avere un’idea di “ciò che si sta muovendo”, per offrire una sintesi o perché affrontano aspetti “particolari”. 

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Quanto sono stati efficaci i vaccini?

E’ di pochi giorni fa, la comunicazione di OMS Europa della pubblicazione di un nuovo studio Estimated number of lives directly saved by COVID-19 vaccination programs in the WHO European Region, December 2020 to March 2023, che evidenzia che i vaccini abbiano salvato più di 1,4 milioni di vite nella regione europea dell’OMS.
Il documento indica:
  • una riduzione del 57% della mortalità tra i soggetti di età compresa tra 70 e 79 anni
  • una diminuzione del 54% dei decessi tra quelli di età compresa tra 60 e 69 anni
  • la mortalità risulta inferiore del 52% nella fascia di età 50-59 anni
  • la fascia di età superiore agli 80 anni ha beneficiato maggiormente della vaccinazione, con una riduzione della mortalità del 62%
  • tra i soggetti di età compresa tra 25 e 49 anni, la seconda dose di vaccino ha comportato una riduzione della mortalità del 48%, sebbene in questo gruppo l’adesione ai vaccini per il secondo e il terzo richiamo sia stata solo del 5%
  • la vaccinazione ha salvato la maggior parte delle vite durante il periodo in cui la variante Omicron era dominante, da dicembre 2021 ad aprile 2023 e nel documento sono evidenziati gli stati dove il beneficio è stato maggiore in termini di numero di vite salvate complessivamente.
Molti altri studi, hanno rilevato l’efficacia contro l’infezione e gli esiti più gravi in relazione a specifiche fasce di età, a pregresse e/o presenti patologie concomitanti ed ad altri fattori e determinanti individuali. E’ impossibile farne una breve selezione dati i molteplici aspetti indagati. Ci limitiamo solo a citare la recente revisione sistematica e meta-analisi Effectiveness of COVID-19 vaccines among children and adolescents against SARS-CoV-2 variants: a meta-analysis, che conferma che la vaccinazione è efficace nel proteggere i bambini e gli adolescenti dalle varianti SARS-CoV-2. Essere vaccinati completamente può offrire una protezione maggiore rispetto a essere vaccinati parzialmente. 

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Le novità sui vaccini

Il Ministero della Salute ha stabilito con la circolare n.37743 del 5 dicembre 2023 Integrazione delle indicazioni e raccomandazioni per la campagna di vaccinazione autunnale/invernale 2023/2024 anti COVID-19 che Nuvaxovid XBB 1.5 potrà essere utilizzato in alternativa al vaccino a m-RNA Comirnaty XBB 1.5, a partire dai 12 anni di età. 

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Quali sono le varianti in circolazione?

Lo studio As COVID-19 Cases Surge, Here's What to Know About JN.1, the Latest SARS-CoV-2 "Variant of Interest" inizia con questa “originale” affermazione: «i genitori spesso si crogiolano nella gioia dei successi dei propri figli, quindi se le varianti SARS-CoV-2 fossero come le persone, BA.2.86 starebbe gioendo proprio adesso». Quattro settimane dopo aver etichettato l'intera crescente famiglia BA.2.86 come variante di interesse, l'OMS ha poi classificato come variante d’interesse distinta JN.1, a causa della sua diffusione in rapido aumento.

L'articolo Anticipating the future of the COVID-19 pandemic: insights into the emergence of SARS-CoV-2 variant JN.1 and its projected impact on older adults propone la cronologia della diffusione delle varianti, concentrandosi infine su JN.1. Nelle conclusioni gli autori ribadiscono che i vaccini rimangono la scelta prioritaria per proteggere gli anziani. 

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Le cure promettenti o superate


Idrossiclorochina

Durante la prima ondata di Covid-19, l’idrossiclorochina (HCQ) è stata utilizzata off-label nonostante l’assenza di prove che documentassero i suoi benefici clinici.

Da allora, una meta-analisi di studi randomizzati ha mostrato che HCQ era associata a un aumento dell’11% del tasso di mortalità. L'obiettivo dello studio Deaths induced by compassionate use of hydroxychloroquine during the first COVID-19 wave: an estimate è stato stimare il numero di decessi correlati all'HCQ in tutto il mondo. La revisione sistematica ha incluso 44 studi di coorte (Belgio, Francia, Italia, Spagna, Turchia, USA).
I tassi di prescrizione di HCQ variavano notevolmente da un paese all'altro (intervallo 16-84%). Nel complesso, utilizzando le stime mediane dell’uso dell’HCQ in ciascun paese, è stato stimato che nei paesi con dati disponibili si sono verificati 16.990 decessi intraospedalieri correlati all’HCQ (intervallo 6.267-19.256). Il numero mediano di decessi correlati all'HCQ in Belgio, Turchia, Francia, Italia, Spagna e Stati Uniti è stato rispettivamente di 240 (intervallo non stimabile), 95 (intervallo 92-128), 199 (intervallo non stimabile), 1822 (intervallo 1170- 2063), 1895 (intervallo 1475-2094) e 12.739 (3244-15570). Sebbene queste stime siano limitate dalla loro imprecisione, questi risultati illustrano il rischio del riutilizzo dei farmaci con prove di basso livello.

Lo studio è stato duramente criticato da un articolo Se sull'idrossiclorochina è tutto un misto di complottisti e pubblicazioni erronee, pubblicato il 9 gennaio 2024 sul giornale “Il Foglio”. Non riportiamo elementi estratti dall’articolo poiché non proveniente dalla letteratura scientifica. 

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Antivirali

Il trattamento precoce con una terapia di prima linea (nirmatrelvir/ritonavir, Paxlovid o remdesivir) o una terapia di seconda linea (molnupiravir) è raccomandato dalle linee guida per il trattamento del COVID-19 del National Institutes of Health.

In Italia, come si legge nel sito di AIFA, sono stati finora autorizzati due antivirali per il trattamento della malattia da coronavirus 2019 negli adulti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che presentano un elevato rischio di sviluppare una forma severa di COVID-19:
  • Veklury (remdesivir) dell’Azienda Gilead Sciences, a somministrazione endovenosa
  • Paxlovid (nirmatrelvir/ritonavir) dell’Azienda Pfizer Europe MA EEIG, a somministrazione orale.
Lagevrio (molnupiravir), un farmaco antivirale (profarmaco metabolizzato all’analogo ribonucleosidico N idrossicitidina), è stato sospeso dall’Agenzia a seguito del parere negativo formulato dal CHMP di EMA in data 24 febbraio 2023, per la mancata dimostrazione di un beneficio clinico in termini di riduzione della mortalità e dei ricoveri ospedalieri.

Lo studio Rebound With and Without Use of COVID-19 Oral Antivirals riporta che, sebbene le terapie antivirali siano ampiamente disponibili, sono sottoutilizzate, probabilmente a causa delle segnalazioni di rebound dopo il trattamento.

L’Agenzia federale degli Stati Uniti CDC ha esaminato gli studi sul rebound della SARS-CoV-2, pubblicati dal 1 febbraio 2020 al 29 novembre 2023. Complessivamente, 7 dei 23 studi che soddisfacevano i criteri di inclusione (uno studio randomizzato e sei studi osservazionali) hanno confrontato il rebound nelle persone che avevano ricevuto un trattamento antivirale con quello nelle persone che non lo avevano ricevuto.
In quattro studi, incluso quello randomizzato, non è stata identificata alcuna differenza statisticamente significativa nei tassi dei due gruppi di pazienti.
A seconda della definizione utilizzata, la prevalenza di rebound variava. Non sono stati segnalati ricoveri o decessi tra i pazienti ambulatoriali che lo hanno manifestato, poiché i segni e i sintomi di Covid-19 erano lievi.
Le persone che ricevono un trattamento antivirale potrebbero essere maggiormente a rischio rebound rispetto alle persone che non ricevono il trattamento a causa delle condizioni dell’ospite o della soppressione virale indotta dal trattamento nelle prime fasi del corso della malattia.
Il potenziale rebound non dovrebbe dissuadere i medici dal prescrivere trattamenti antivirali salvavita quando indicati per prevenire la morbilità e la mortalità. 

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Fattori predisponenti all’infezione e a esiti più gravi

I meccanismi molecolari che regolano la patogenesi del coronavirus sono complessi, comprese le interazioni virus-ospite associate alla replicazione e al controllo immunitario innato. Tuttavia, alcune condizioni genetiche ed epigenetiche associate a comorbidità aumentano il rischio di ospedalizzazione e possono rivelarsi fatali nei pazienti infetti.

Genetic and Epigenetic Determinants of COVID-19 Susceptibility: A Systematic Review fornisce informazioni sui fattori genetici ed epigenetici dell’ospite che, alla luce delle prove disponibili, interferiscono con l’espressione di Covid-19. E’ stata condotta una revisione sistematica della letteratura utilizzando un approccio globale e acquisendo i documenti pubblicati in inglese tra dicembre 2019 e giugno 2023.
I risultati rivelano che il genotipo HLA dell'ospite svolge un ruolo sostanziale nel determinare il modo in cui vengono presentati gli antigeni proteici virali e la successiva reazione del sistema immunitario a questi antigeni.
Nelle femmine, i geni responsabili della regolazione del sistema immunitario si trovano sul cromosoma X, con conseguente riduzione della carica virale e dei livelli di infiammazione rispetto ai maschi. Possedere il gruppo sanguigno A può contribuire a una maggiore suscettibilità a contrarre la malattia, nonché a un aumento del rischio di mortalità associato.

La capacità di SARS-CoV-2 comporta l’inibizione delle reazioni antivirali dell’interferone (IFN), con conseguente moltiplicazione virale incontrollata. Vi è una notevole assenza di ricerca sulla predisposizione alle infezioni legata al genere, che richiede un esame approfondito.

Secondo la letteratura disponibile, una parte significativa di individui affetti dalla malattia o che presentavano gravi conseguenze avevano già un sistema immunitario depresso, ed erano classificati come un gruppo ad elevato rischio.

La meta-analisi Association of genetic polymorphisms with COVID-19 infection and outcomes: An updated meta-analysis based on 62 studies evidenzia che l’infezione, la gravità o la mortalità di Covid-19 erano correlate ad alcuni polimorfismi genetici, che potrebbero fornire un’importante base teorica per comprendere le caratteristiche cliniche della malattia.

Un ruolo fondamentale nella modulazione delle risposte dell’ospite durante le infezioni virali è il microbioma, e studi recenti ne hanno sottolineato l’importanza nel contesto della malattia da coronavirus 2019.
Gut Microbiome Composition and Dynamics in Hospitalized COVID-19 Patients and Patients with Post-Acute COVID-19 Syndrome ha indagato le dinamiche e i cambiamenti compositivi nel microbioma intestinale dei pazienti con Covid, sia nella fase acuta che nel processo di recupero, con particolare attenzione all’emergere delle condizioni post-Covid.
Coinvolgendo 146 pazienti affetti da malattia e 110 controlli sani, questo studio ha utilizzato un approccio metagenomico per analisi trasversali e longitudinali con follow-up di uno e tre mesi.
E’ stato osservato un declino nella diversità tassonomica tra i pazienti ospedalizzati con Covid-19 rispetto ai controlli sani, mentre è stato mostrato un successivo aumento della diversità alfa durante il processo di recupero.
Un notevole contributo di Enterococcus faecium è stato identificato nella fase acuta dell'infezione, accompagnato da una crescente abbondanza di batteri produttori di butirrato (es. Roseburia, Lachnospiraceae-unclassified) durante il periodo di recupero.
I ricercatori hanno evidenziato un ruolo protettivo del genere Prevotella nel processo di recupero a lungo termine e suggerito un potenziale significato della specificità della popolazione nei marcatori precoci del microbioma intestinale della sindrome post-acuta da Covid.
Lo studio rappresenta quindi le caratteristiche del microbioma intestinale in Covid-19, con potenziali implicazioni diagnostiche e prognostiche, individuando potenziali modulatori della progressione della malattia. 

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Definizioni e sintomi nel post-Covid

Condizioni post-Covid-19 (PCC) è un termine generico che comprende una serie di segni, sintomi e condizioni presenti settimane dopo la fase acuta di un’infezione da SARS-CoV-2.
L'articolo Definition and measurement of post-COVID-19 conditions in real-world practice: a global systematic literature review riassume la metodologia eterogenea utilizzata per misurare PCC negli studi condotti nel mondo reale ed evidenzia le tendenze per regione, fascia di età, periodo di follow-up del PCC e fonte di dati.
Sono state inclusi nella revisione 291 studi, di cui 175 (60%) hanno seguito nel tempo le condizioni post-Covid in individui con Covid-19 confermato e 116 (40%) hanno utilizzato una definizione di PCC prespecificata.

Gli esperti hanno osservato una sostanziale eterogeneità nel disegno dello studio, nella fascia di età, nelle condizioni/sintomi del PCC valutati e nella loro classificazione e durata del follow-up.
Tra gli studi che utilizzavano una definizione PCC prespecificata, i criteri definiti dall'autore (51%) erano più comuni dei criteri raccomandati dalle principali organizzazioni sanitarie pubbliche (19%).

I periodi di misurazione per i risultati di PCC dalla data del test acuto per Covid-19 erano principalmente da 3 a <6 mesi (39,2%), seguiti da 6 a <12 mesi (27,5%) e <3 mesi (22,9%). I sintomi/condizioni sono stati misurati in 271 dei 291 (93%) studi inclusi. A causa dell’eterogeneità della terminologia utilizzata, i singoli sintomi/condizioni sono stati classificati in base al sistema di organi per facilitare l’analisi. Il numero di studi che misurano ciascun sintomo/condizione (ovvero la frequenza), stratificato per popolazione adulta rispetto a quella pediatrica, fonte dei dati, disegno dello studio e durata del follow-up tra gli studi è presentato nella figura 2.

Quando classificati per organo/sistema, i sintomi post malatia di natura generale (constitutional) sono stati quelli valutati più frequentemente nelle popolazioni adulte (86%) e pediatriche (87%). Tra questi, l'affaticamento, riscontrato negli adulti (91,6%) e nei bambini (95,0%), seguito da febbre/brividi (rispettivamente 37,9% e 55%).
La figura 3 mostra la distribuzione dei sintomi/condizioni valutati più frequentemente per dominio di sintomi/condizioni nella popolazione adulta e pediatrica.

Le definizioni di condizioni post-Covid-19 sono eterogenee negli studi del mondo reale, il che limita i confronti affidabili tra gli studi. Tuttavia, sono state osservate alcune similarità tra i sintomi e le condizioni associati a post-Covid misurati più frequentemente, che possono aiutare la gestione clinica dei pazienti.

Un'altra revisione sistematica e meta-analisi Persistence of post-COVID symptoms in the general population two years after SARS-CoV-2 infection: A systematic review and meta-analysis ha indagato la prevalenza dei sintomi post-Covid due anni dopo l’infezione da SARS-CoV-2.
Sono state condotte ricerche di letteratura nei database PubMed, MEDLINE, CINAHL, EMBASE, Web of Science e nei server di prestampa medRxiv/bioRxiv sino a ottobre 2023. Dei 742 studi identificati, 12 soddisfacevano i criteri di inclusione, riportando dati sui sintomi post-Covid a due anni dall’infezione. Il campione comprendeva 7912 sopravvissuti alla malattia (50,7% donne; età: 59,5, DS: 16,3). I sintomi post-Covid sono stati valutati ad un follow-up di 722,9 (SD: 51,5) giorni successivi.

La qualità metodologica complessiva degli studi era moderata (media: 6/10, DS: 1,2 punti). I sintomi più diffusi due anni dopo l’infezione erano affaticamento (28,0%, IC 95% 12,0–47,0), disturbi cognitivi (27,6%, IC 95% 12,6–45,8) e dolore (8,4% , IC al 95% 4,9–12,8). Erano prevalenti anche disturbi psicologici come livelli di ansia (13,4%, IC 95% 6,3–22,5) e depressivi (18,0%, IC 95% 4,8–36,7), nonché problemi di sonno (20,9%, IC 95% 5,25–43,25). I dati aggregati hanno mostrato un'elevata eterogeneità (I2 ≥ 75%).

La meta-analisi evidenziava la presenza di sintomi post-Covid nel 30% dei pazienti due anni dopo la malattia.  

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Nuove cure contro il long Covid

Gli autori dello studio A synbiotic preparation (SIM01) for post-acute COVID-19 syndrome in Hong Kong (RECOVERY): a randomised, double-blind, placebo-controlled trial hanno brevettato un prodotto (SIM01) contenente tre ceppi probiotici (B. adolescentis, B. bifidum, B. longum) e tre composti prebiotici (galacto-oligosaccaridi, xylo-oligosaccaridi, destrina resistente), avviandone la sperimentazione in uno studio clinico randomizzato, controllato e in doppio cieco su circa 500 soggetti che presentavano, ad almeno quattro settimane dall’infezione, uno o più di 14 sintomi specifici da long Covid.
Le conclusioni riportate dagli stessi autori evidenziano peraltro il ruolo del microbiota, oggetto di molte altre ricerche.
Il trattamento con SIM01, che prende di mira la disbiosi intestinale e potenzialmente modifica la risposta immunitaria, è efficace nell’alleviare molteplici sintomi della sindrome da long Covid. Sono stati identificati, come una possibile spiegazione del miglioramento clinico, cambiamenti favorevoli nel microbiota intestinale, tra cui una maggiore diversità batterica e una maggiore presenza di batteri produttori di acidi a catena corta nel gruppo SIM01, ma non nel gruppo placebo dopo 6 mesi di trattamento. I ricercatori concludono affermando che SIM01 è un trattamento sicuro e promettente per il long Covid, che merita ulteriore conferma in uno studio multicentrico.  

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Costi delle cure e riabilitazione dopo Covid-19

Anche se una percentuale significativa di individui riferisce manifestazioni cliniche persistenti a seguito di un’infezione acuta da SARS-CoV-2, la conoscenza del peso sul sistema sanitario di questa condizione, spesso definita come “long Covid”, rimane limitata.

Lo studio Examining potential Long COVID effects through utilization of healthcare resources: a retrospective, population-based, matched cohort study comparing individuals with and without prior SARS-CoV-2 infection è stato condotto per valutare l’utilizzo dell’assistenza sanitaria potenzialmente correlato al long Covid.

Lo studio di coorte multicentrico, retrospettivo, basato sulla popolazione, ha analizzato i ricoveri ospedalieri e l'utilizzo di visite ambulatoriali e test diagnostici tra adulti di età pari o superiore a 40 anni, guariti dall'infezione da SARS-CoV-2 avvenuta tra febbraio 2020 e dicembre 2021.
Sono stati abbinati/confrontati i pazienti guariti con soggetti non esposti, per un periodo di osservazione di 6 mesi.
L’utilizzo dell’assistenza sanitaria è stato analizzato considerando il contesto di cura per l’infezione acuta da SARS-CoV-2 (non ospedalizzato, ricoverato in ospedale e ricoverato in unità di terapia intensiva) come proxy della gravità dell’infezione acuta e delle fasi epidemiche caratterizzate da diversi livelli di varianti del virus.

I dati sono stati acquisiti dai database amministrativi sanitari regionali di tre regioni italiane (il Friuli Venezia Giulia (FVG) che rappresenta il Nord, la Toscana che rappresenta il Centro e la Puglia che rappresenta il Sud Italia.)
La coorte finale era composta da 307.994 soggetti precedentemente infettati abbinati a 307.994 individui non infettati. Tra gli individui esposti, il 92,2% non è stato ricoverato in ospedale durante l’infezione acuta, il 7,3% è stato ricoverato in un reparto non di terapia intensiva e lo 0,5% è stato ricoverato in terapia intensiva.

Lo studio ha rilevato che l’infezione da SARS-CoV-2 era associata a un maggiore ricorso all’assistenza sanitaria nei 6 mesi successivi all’infezione e l’associazione era principalmente determinata dalla gravità acuta dell’infezione. Gli individui precedentemente infettati da SARS-CoV-2 (rispetto a quelli non esposti), in particolare quelli ricoverati in ospedale o ricoverati in terapia intensiva, hanno riportato un maggiore utilizzo delle visite ambulatoriali, accertamenti diagnostici e ricoveri.

Lo studio Evidence-based position paper on physical and rehabilitation medicine professional practice for persons with COVID-19, including post COVID-19 condition: the European PRM position (UEMS PRM Section) mira a migliorare la pratica professionale del medico di medicina fisica e riabilitativa (Physical and Rehabilitation Medicine - PRM) per le persone con limitazioni funzionali correlate a Covid-19, per promuovere il recupero funzionale e ridurre le limitazioni di attività e/o le restrizioni.

Da dicembre 2019 ad agosto 2022 è stata effettuata una revisione sistematica della letteratura scientifica, seguita dalla produzione di raccomandazioni attraverso 5 round Delphi, previo consenso tra i delegati di tutti i paesi europei rappresentati nella sezione PRM dell'Unione dei medici specialisti europei. La revisione sistematica della letteratura è riportata insieme alle 32 raccomandazioni risultanti dalla procedura Delphi.

Il ruolo del medico per le persone con limitazioni funzionali legate al Covid-19 è quello di sviluppare, promuovere e monitorare l'attuazione di un progetto riabilitativo individuale adattato all'età del paziente, al precedente stato medico e funzionale, alle comorbilità e complicanze attuali, alle limitazioni dell'attività e restrizioni alla partecipazione e fattori personali e ambientali.

Ciò viene fatto applicando il concetto di un modello di servizio integrato multispecialistico con team multiprofessionali/interdisciplinari, che forniscono assistenza in tutte le fasi della malattia. Questo documento, basato sull'evidenza, rappresenta la posizione ufficiale dell'Unione europea attraverso i medici di fisica e riabilitativa europei.

Dai uno sguardo alla rassegna bibliografica tematica che NBST ha realizzato durante i primi anni della pandemia
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Per saperne di più:

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