Ci sono stati
pochi progressi nella prevenzione dell'obesità attraverso dieta convenzionale e programmi di esercizio fisico, che si basano principalmente su un'interpretazione causale semplificata dell'eccesso di apporto calorico.
Le crescenti evidenze suggeriscono che
vari aspetti psicosociali, comprese le
avversità sociali, possono svolgere un ruolo più profondo nello
sviluppo dell'obesità rispetto alla semplice associazione dell'apporto calorico eccessivo indotto dall'abbondanza di cibo nei cosiddetti ambienti “obesogenici”.
Hemmingsson e colleghi propongono un
modello per lo sviluppo dell'obesità che fa risalire una parte considerevole delle origini all’
ambito sociale (principalmente a diverse forme di avversità sociale prolungata), sia all'interno che attraverso le
generazioni, in associazione con la
predisposizione genetica.
Per facilitare la panoramica dei percorsi sociali, viene posta particolare attenzione su
tre aree che formano una sequenza a cascata (vedi la
figura 1):
- avversità sociali all'interno della famiglia (genitori con un basso livello di istruzione, una posizione sociale bassa, povertà e insicurezza finanziaria; prole esposta a problemi gestazionali stress, bisogni sociali ed emotivi insoddisfatti, abusi, maltrattamenti e altri eventi negativi della vita, privazione sociale e discordia relazionale)
- aumento dei livelli di insicurezza, emozioni negative, stress cronico e interruzione dell'omeostasi energetica
- aumento di peso e obesità, suscitando ulteriore stress sociale e stigma del peso in entrambe le generazioni.
Le
avversità sociali, se combinate con la
predisposizione genetica, contribuiscono quindi in modo sostanziale alla
trasmissione altamente effettiva dell'
obesità dai genitori ai figli, nonché allo sviluppo dell'obesità all'interno delle generazioni attuali.
Gli sforzi di prevenzione possono trarre vantaggio dalla
mitigazione di molteplici tipi di avversità sociali negli individui, nelle famiglie e nelle comunità, in particolare la
povertà e le difficoltà finanziarie, e migliorando i livelli di
istruzione.
Gli autori ci propongono nella
tabella 1 un modello di
prevenzione basato su queste premesse.
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