JAMA pubblica una
intervista a Douglas Drachman, cardiologo interventista presso il Massachusetts General Hospital e direttore della formazione presso l'MGH Heart Center, sulle più
importanti ricerche cliniche presentate al
convegno annuale dell'American College of Cardiology (ACC), tenutosi ad Atlanta all’inizio di aprile.
Tra i punti salienti della ricerca: novità nella terapia standard dopo infarto miocardico, nuovi approcci per ridurre l’ipertrigliceridemia e il colesterolo ostinatamente alto, l’effetto di un farmaco di largo uso sull’insufficienza cardiaca e un trattamento preventivo delle placche coronariche.
Terapia con β-bloccanti dopo attacco cardiaco: tutti i pazienti ne hanno bisogno?
Negli ultimi anni, i ricercatori si sono chiesti se
tutti i pazienti avessero davvero bisogno di β-bloccanti dopo un infarto miocardico, che è ciò che raccomandano negli Stati Uniti le linee guida cliniche.
Nell'intervista, Drachman fornisce il contesto per comprendere meglio il quesito. Da
alcuni decenni si ritiene che l'uso di β-bloccanti per i pazienti che hanno avuto un infarto miocardico possa aiutare a ridurre il decesso o un infarto ricorrente. Questa raccomandazione è stata incorporata nelle linee guida e negli standard di sicurezza ed è spesso una misura della qualità delle cure. Ciò che è interessante notare, però, è che il contesto è davvero cambiato molto - sottolinea il dott. Drachman. Al
giorno d'oggi, se qualcuno arriva in ospedale con infarto del miocardio, è prassi fare un'angiografia coronarica ed eventualmente una rivascolarizzazione coronarica con un intervento coronarico percutaneo (PCI). Inoltre, ci sono molti altri farmaci che possono essere integrati, incluse terapie antitrombotiche molto potenti per ridurre il rischio di riocclusione di un'altra arteria coronaria infiammata.
Due ampi studi osservazionali pubblicati lo scorso anno sul Journal of American College of Cardiology (JACC) sollevano interrogativi sulla necessità di β-bloccanti in tutti i pazienti dopo un primo infarto. Entrambe le ricerche hanno riscontrato un beneficio limitato sulla mortalità associato all’uso di β-bloccanti in determinati scenari clinici, sottolineando la necessità di studi clinici randomizzati progettati per testare l’efficacia di questi farmaci storici nell’era contemporanea. Ne riassume le evidenze Jennifer Abbasi nell'articolo
Do All Patients Need β-Blockers After a Heart Attack?
Trattamento preventivo delle placche vulnerabili: i risultati dello studio PREVENT
Un'altra importante questione clinica è cosa fare in caso di
placche coronariche aterosclerotiche che non limitano il flusso, ma comportano un alto rischio di eventi cardiaci avversi.
Il trial, i cui
risultati sono stati pubblicati su The Lancet, è stato il primo a valutare l’
impatto clinico dell’angioplastica coronarica di lesioni considerate vulnerabili. Si tratta di uno studio multicentrico randomizzato condotto in
15 ospedali di quattro paesi (Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Nuova Zelanda) su circa 1600 pazienti con stenosi giudicate non significative alla valutazione funzionale (FFR < 0.8) e randomizzati ad angioplastica più terapia medica ottimale oppure a sola terapia medica ottimale.
L'ampio
studio PREVENT, nonostante alcuni limiti metodologici, ha dimostrato che l'intervento coronarico percutaneo preventivo, abbinato a una terapia medica ottimale, previene un alto numero di eventi rispetto alla sola terapia medica.
Per saperne di più:
PREVENT: Preventive PCI Superior to Optimal Medical Therapy Alone to Reduce Cardiac Events From Vulnerable Plaques
Strategia “inclisiran first” versus terapia standard per il trattamento dell'iperoclesterolemia
Un altro studio interessante riguarda i pazienti con aterosclerosi che non riescono ad
abbassare il colesterolo LDL sufficientemente con le statine e che potrebbero trarre beneficio dall’aggiunta del farmaco inclisiran alla cura abituale.
Inclisiran è innovativo nel suo meccanismo d’azione poiché rientra nella classe dei farmaci RNAi (RNA interference) che silenziano gli RNA messaggeri (mRNA). Si tratta di un piccolo RNA interferente (siRNA) con un’elevata affinità per il fegato, all’interno del quale riduce i livelli di una proteina coinvolta nel metabolismo del colesterolo. Questo meccanismo aumenta la capacità del fegato di assorbire il colesterolo LDL e porta di conseguenza a una
riduzione dei livelli di colesterolo LDL presente nel sangue. Il farmaco promette efficacia a lungo termine e il trattamento annuale permetterebbe di migliorare l’aderenza terapeutica, uno dei punti deboli della lotta al colesterolo.
L'utilizzo di inclisiran il prima possibile nella cura di pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica è associato a un
abbassamento sostenuto del colesterolo LDL rispetto alle cure standard, secondo i risultati dello
studio clinico VICTORION-INITIATE.
Per saperne di più:
Comparison of an “Inclisiran First” Strategy With Usual Care in Patients With Atherosclerotic Cardiovascular Disease
Plozasiran riduce i livelli di trigliceridi del 74% a 24 settimane
Parliamo di ipertrigliceridemia. Due studi, di cui lo
studio SHASTA-2 pubblicato in JAMA Cardiology, hanno esaminato nuovi trattamenti per l’ipertrigliceridemia.
SHASTA-2 ha valutato
plozasiran, un farmaco RNAi in fase di sperimentazione, progettato per ridurre la produzione di apolipoproteina C-III (APOC3), un regolatore chiave del metabolismo dei trigliceridi.
Lo studio, denominato “Studio per valutare ARO-APOC3 negli adulti con ipertrigliceridemia severa (SHASTA-2)”, è stato un trial clinico randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, che ha coinvolto adulti in
74 centri degli Stati Uniti, Europa, Nuova Zelanda, Australia e Canada dal 31 maggio 2021 al 31 agosto 2023.
Nei pazienti con livelli di trigliceridi gravemente elevati a rischio di sviluppare pancreatite acuta, il farmaco sperimentale ha
ridotto i livelli di trigliceridi in media del 74% dopo 24 settimane di utilizzo senza causare alcun problema significativo per la sicurezza.
Per saperne di più:
Plozasiran Reduces Triglyceride Levels by 74% at 24 Weeks