L' NHS England ha appena pubblicato una guida per aiutare i medici a limitare la prescrizione di trattamenti "a basso valore", potenzialmente dannosi o inutili nelle cure primarie. Aggiungiamo anche l'interessante commento del BMJ.
L' NHS England ha appena pubblicato una guida per aiutare i medici a limitare la prescrizione di trattamenti "a basso valore", potenzialmente dannosi o inutili nelle cure primarie.
Il documento Items which should not be routinely prescribed in primary care: findings of consultation and next steps fa parte della più ampia strategia in atto in Gran Bretagna per ridurre i costi. La guida è indirizzata ai Clinical Commissioning Group (CCGs), ovvero a consorzi di medici di famiglia ai quali il governo inglese affida un’ingente fetta delle risorse sanitarie, da gestire con i fornitori di servizi sanitari in una data area geografica. Ogni CCG gestisce in media 225.000 persone. l'obiettivo è quello di supportare i CCG nei loro processi decisionali e in ultima analisi di aiutarli a migliorare le loro pratiche prescrittive.
Anche BMJ ha commentato il documento riportando una interessante tabella sinottica.
Le nuove Linee Guida si distinguono dalle precedenti raccomandazioni che sostenevano un approccio al trattamento dell'ipertensione per gradi (inizio della terapia con un farmaco, seguito dall'aggiunta di un secondo o di un terzo all'occorrenza). Si allarga inoltre la platea di soggetti da destinare a trattamento farmacologico.
Secondo le nuove linee guida congiunte ESC-ESH (European Society of Cardiology/European Society of Hypertension), pubblicate sullo European Heart Journal e sul sito ESC, in concomitanza con l'apertura dei lavori del congresso annuale ESC, il ricorso alla terapia di associazione, cioè a due (o più) principi attivi contenuti in una stessa pillola potrebbe rivoluzionare il trattamento della pressione arteriosa.
Le nuove Linee Guida si distinguono dalle precedenti raccomandazioni che sostenevano un approccio al trattamento dell'ipertensione per gradi (inizio della terapia con un farmaco, seguito dall'aggiunta a questo di un secondo o di un terzo all'occorrenza). Tale approccio è stato sconfessato perchè viziato dall' “inerzia terapeutica” a cambiare la strategia iniziale di trattamento: almeno l'80% dei pazienti dovrebbe passare al trattamento con due farmaci anti-ipertensivi, mentre la maggior parte di essi rimane soggetta a trattamento con un solo farmaco. E' ormai appurato che una delle ragioni principali alla base del cattivo controllo della pressione arteriosa deriva dalla mancata assunzione dei farmaci prescritti da parte dei pazienti. La mancata aderenza al trattamento aumenta con il numero di farmaci prescritti, per cui la somministrazione di due farmaci (o tre se necessario) con una singola pillola potrebbe migliorare “i tassi di controllo della pressione arteriosa”, ribadiscono le linee guida.
L'expert consensus dell'American College of Cardiology, appena uscita su JACC, mostra l’algoritmo per la gestione dei sanguinamenti, siano essi maggiori o minori, causati dai vecchi e dai nuovi anticoagulanti. Qui riportiamo non solo il documento originale, ma anche un articolo di commento in italiano.
L'expert consensus dell'American College of Cardiology, appena uscita su JACC, mostra l’algoritmo per la gestione dei sanguinamenti, siano essi maggiori o minori, causati dai vecchi e dai nuovi anticoagulanti. Gli anticoagulanti orali sono farmaci salvavita nel trattamento e nella prevenzione di trombosi e tromboembolismo, ma presentano il rischio di sanguinamenti improvvisi a volte fatali.
L’algoritmo di trattamento prevede una prima fase di valutazione della gravità del sanguinamento, seguita dalla fase di controllo del sanguinamento e infine dalla fase nella quale si deve decidere se e quando riprendere la terapia anti-coagulante.
Regione Toscana e Agenzia regionale di sanità hanno provato a rispondere a queste domande attraverso alcune indagini epidemiologiche condotte nelle strutture detentive toscane. E' partita infatti da poco la quarta rilevazione, che coinvolgerà come nelle precedenti edizioni (2010-2012-2014) tutti gli istituti detentivi per un totale di circa 3.300 persone.
Regione Toscana e Agenzia regionale di sanità hanno provato a rispondere a queste domande attraverso alcune indagini epidemiologiche condotte all'interno delle strutture detentive toscane.
E' partita infatti da poco la quarta rilevazione, che coinvolgerà come nelle precedenti edizioni (2010-2012-2014), tutti gli istituti detentivi presenti sul territorio regionale (16 per adulti e 2 minorili) per un totale di circa 3.300 persone. A partire dal 1 novembre 2017, il personale sanitario che opera in ambito penitenziario avrà a disposizione 3 mesi (termine previsto 31 gennaio 2018) per compilare la scheda clinica informatizzata messa a disposizione dall’Agenzia regionale di sanità.
Monitorare lo stato di salute delle persone detenute costituisce un obiettivo che la regione Toscana persegue, fin dal 2009, con cadenza triennale. La rilevazione, finalizzata a colmare il gap informativo dovuto alle difficoltà incontrate nell’entrata a regime della cartella clinica informatizzata, ha riscontrato un ampio interesse nazionale tanto che, nel 2014, grazie al contributo economico erogato dal Ministero della salute nell’ambito dei progetti CCM, ilmodello toscano è stato attuato in 6 regioni italiane coinvolgendo 57 istituti e 15.751 detenuti (Toscana, Veneto, Liguria, Lazio, Umbria, Az. Usl di Salerno).
Attualmente, la ricerca costituisce una delle principali esperienze svolte sul territorio nazionale ed il più ampio database sull’argomento. I risultati, in accordo con la letteratura internazionale, hanno rilevato l’alta prevalenza di patologie psichiatriche (in particolare di natura tossicomanica o da adattamento) che rappresentano il 41,3% del totale dei detenuti sottoposti a visita medica, malattie dell’apparato digerente (14,5% dei detenuti) e malattie infettive e parassitarie che coinvolgono l’11,5% dei detenuti visitati. Rispetto ai trattamenti farmacologici erogati, i dati mostrano il largo uso di farmaci prescritti in ambito penitenziario (52,7% ne assume almeno 1) con una media di 2,8 farmaci per persona.
Lo strumento, già utilizzato nelle rilevazioni precedenti, è composto di una parte generale contenente informazioni socio-demografiche (età, genere, nazionalità, anni di studio, provenienza del detenuto etc.) e di una parte clinica. Le informazioni cliniche comprendono la registrazione delle diagnosi, sia internistiche che psichiatriche, codificate secondo la classificazione ICD9cm; i trattamenti farmacologici erogati all’interno delle strutture, censiti per nome commerciale (con relativo dosaggio giornaliero, formulazione e via di somministrazione); il consumo di tabacco e le sigarette fumate quotidianamente; il peso e l’altezza, ovvero i valori in grado di determinare il BMI (indice di massa corporea categorizzato secondo la classificazione OMS in sottopeso <18,5, normopeso 18,5-25, sovrappeso 25-30 e obeso ≥30); il numero di ore trascorse in cella al giorno; specifiche informazioni riguardanti il tentato suicidio e gli atti di autolesionismo. Nel rispetto delle norme sulla privacy, il programma di inserimento dati prevede l’anonimizzazione del dato attraverso la conversione dei principali dati anagrafici in un codice alfanumerico.